Con l’urgenza che molti hanno di dover dire sempre e
comunque cosa pensano al mondo (Facebook e la sua antipatica domanda: cosa stai
pensando?) e di dire a tutti dove si è e cosa si sta facendo – di
geolocalizzarci – si sta perdendo la capacità non solo di osservare ma anche di
immaginare.
L’attributo smart ormai si accompagna a molte cose. Così come il concetto di accessibilità oggi sembra immediatamente far pensare all’accessibilità della connessione web.
3) F. Ferrarotti, La sociologia come partecipazione e altri saggi,Taylor, Torino, 1961.
L’attributo smart ormai si accompagna a molte cose. Così come il concetto di accessibilità oggi sembra immediatamente far pensare all’accessibilità della connessione web.
Stiamo bene in guardia. Le nostre città, la nostra
città (Roma) e il rione Testaccio sono tutt’altro che smart e accessibili e qui
per accessibilità intendo la possibilità di accesso ai luoghi di ritrovo, ai marciapiedi,ai
parchi da parte delle persone con disabilità o semplicemente con un passeggino con
dentro dei bambini. Sto parlando semplicemente di diritto all’accesso. Anche
l’accesso a internet, quindi alla conoscenza, è un diritto. Ma non
dimentichiamoci di tutto il resto.
Qui non si tratta di essere apocalittici o integrati
ma di buon senso.
Parlando di Testaccio, quello che con una urban
experience sarebbe utile fare sarebbe immaginare questi luoghi come erano cento
anni fa, quando cioè – letteralmente – non c’erano. Testaccio è stato l’ultimo
quartiere all’interno del centro storico di Roma dopo l’unità d’Italia del 1870
ad essere costruito ex novo perché era l’unica area libera e soprattutto dotata
di caratteristiche oro geografiche per accogliere la nascente classe operaia.
Gli spazi dove vivremo, e dove si sta già vivendo in
metropoli diverse dalle nostre, saranno più sociali più verdi più connessi, più
intelligenti.
Sono passati poco 18 anni da quando il futurologo
newyorkese George Gilder 1 scrisse: “Le città sono un avanzo
lascatoci dall’era industriale”. Era il 1995 e, analizzando le potenzialità di
Internet, Gilder pensava che la Rete avrebbe annullato le distanze rendendo
obsolete le città. Per diversi urbanisti, nel giro di pochi anni le città
sarebbero scomparse. Con la diffusione delle grandi infrastrutture della
comunicazione alla fine dello scorso secolo sempre più voci prevedevano la fine
delle città a favore di modalità di vita
delocalizzate e interconnesse.
Le stesse previsioni si sono avute con la nascita di
Amazon – prima grande biblioteca virtuale – e la scomparsa del libro. Tornando
alla città, si sta semmai verificando l’opposto. La comunità urbana non è
scomparsa ma si è replicata nel suo doppio virtuale, attraversato con le stesse
dinamiche di quello reale. A Roma non c’è rione o quartiere che non abbia
almeno un gruppo numericamente ben frequentato sui social network, dove si
caricano foto e video, ma dove soprattutto, cittadini impegnati nella società civile
denunciano e dialogano tra loro sugli aspetti della vita di quartiere da migliorare.
La teorizzazione classica del concetto di comunità urbana si deve al sociologo
tedesco Ferdinand Tönnies che costruisce idealmente i due concetti di comunità
e società ai quali fanno riferimento modalità diverse di relazioni sociali.
Parentela,vicinato e amicizia sono tre tipi di
comunità (di sangue di luogo e di spirito) interdipendenti tra loro, a cui
corrispondono anche altrettanti tipi di autorità o dignità. Il rispetto dell’autorità
e della volontà comunitaria, aiuta a mantenere in equilibrio i rapporti di tipo
comunitario. La comprensione reciproca, nasce secondo Tönnies su un modo di
sentire comune e reciproco che si può esprimere al meglio in condizioni di
vicinanza «...il vicinato è il carattere generale della convivenza del
villaggio, dove la vicinanza delle abitazioni, il terreno comune o anche la
semplice delimitazione dei campi danno luogo a numerosi contatti umani, alla assuefazione
reciproca e ad una conoscenza intima essenzialmente condizionata dalla coabitazione.
Questa forma di comunità può però anche mantenersi nella separazione, seppure più
difficilmente della prima forma e deve allora tanto maggiormente cercare il suo
sostegno in determinate abitudini di riunioni e in usanze rituali sacre».2
Nella metropoli moderna, la volontà comunitaria
persiste ma in maniera residuale; la città capitalistica che intende Tönnies, è
un’area nella quale i rapporti tra i singoli, e quindi anche i rapporti di
vicinato, sono destinati ad indebolirsi progressivamente. Secondo la lettura
critica di Franco Ferrarotti ‟...non solo comunità e società non vanno dialetticamente
contrapposte, ma è invece da considerare il grave pericolo involutivo in cui
versa una società, la cui base comunitaria vale a dire il cui tessuto
connettivo delle cellule centrali e periferiche, non risulti vitale, capace di
costante rigenerazione molecolare e di rinnovamento.” 3
La rigenerazione costante deve essere la linfa dei
territori. I grandi agglomerati urbani stanno crescendo continuamente: una
porzione sempre maggiore della popolazione si sta spostando nelle grandi città
del pianeta. Negli ultimi quindici anni le città hanno conosciuto un boom senza
precedenti, la Cina, da sola, ha in programma di costruire più città di quante
siano mai state costruite dall’uomo in tutta la sua storia e si sta deviando il
corso dei fiumi, con ripercussioni disastrose sulle popolazioni. Come è noto,
poi, per la prima volta, la popolazione urbana del pianeta ha superato quella
rurale.
Per sopravvivere a tutto questo, dovremmo
riconoscere la forza e rispettare i limiti della natura sulla vita umana,
rendere le metropoli ospitali e vivibili (fermando anche l’espansione
incontrollata sui nostri suoli), rigenerare le risorse (sviluppare le energie
rinnovabili, attivare produzioni che risparmiano risorse), valorizzare e
sviluppare le aree rurali (promuovendo l’imprenditoria giovanile, ripopolando
le terre incolte come si sta facendo con gli orti urbani, più di 100 ormai a
Roma, ecc).
La rete in conclusione non ha svuotato di senso le
città, anzi. Le tecnologie digitali hanno invaso le strade e quartieri
arricchendoli di nuovi servizi e creando un nuovo modo di vivere i centri abitati
(e qui i walk show possono avere un ruolo).
In futuro potrebbe delinearsi una nuova realtà
urbana, le smart cities, ovvero la proposta della possibilità di una migliore
qualità e accessibilità della vita in spazi urbani che ci aiutino a realizzare i
nostri progetti di vita e di lavoro. Una città smart è uno spazio urbano, ben
diretto da una politica che sappia amministrare per il bene comune, con
un’attenzione alla coesione sociale, alla diffusione e disponibilità della
conoscenza, alla creatività, alla libertà e mobilità effettivamente fruibile,
alla qualità dell’ambiente naturale e culturale.
In particolare le smart cities sono costituite
attorno alle Information and Communications Technology dove le reti digitali
possano essere considerate a tutti gli effetti una nuova categoria di opere
pubbliche. Secondo alcuni le interazioni sociali saranno in un prossimo futuro
fortemente condizionate dallo sviluppo delle innovazioni ICT; nuovi modelli
comportamentali si stanno già cominciando a delineare e nuove applicazioni
informatiche saranno sviluppate per rendere sempre più agevoli tali interazioni
(pensiamo alle applicazioni come foursquare, un'applicazione mobile e web che permette
agli utenti registrati di condividere la propria posizione con i propri
contatti.
Al suo lancio nel 2009 Foursquare era disponibile in
maniera limitata in sole 100 aree metropolitane in tutto il mondo. Nel 2010 è
stata lanciata la versione 2.0 che aiuta gli utenti a scoprire nuovi luoghi e
attività oltre a condividere la propria posizione come già avveniva nelle versioni
precedenti ed è stato aggiunto un tasto per aggiungere più facilmente un luogo
alla lista delle cose da fare. A partire da questa versione l'applicazione
ricorda inoltre all'utente le cose da fare che si trovano nelle sue immediate
vicinanze.
Applicazioni come quelle di The New York Times, Wall
Street Journal e Zagat hanno aggiunto il tasto "Add to my Foursquare"
che permette di aggiungere determinati luoghi alla propria lista di cose da
fare. Questi aspetti vanno ad impattare sul modo di percepire e vivere un
quartiere. Dai teorici delle smart cities sono stati individuati gli attributi
fondamentali che dovrebbero avere tali tipi di contesti urbani:
Mobilità:
una città smart è una città in cui gli spostamenti sono agevoli, che garantisce
una buona disponibilità di trasporto pubblico innovativo e sostenibile, una
città smart adotta soluzioni avanzate di mobility management e di infomobilità. Roma non
ha quasi nulla di tutto questo…
Ambiente:
una città smart promuove uno sviluppo sostenibile che ha come paradigmi la
riduzione dell’ammontare dei rifiuti, la differenziazione della loro raccolta,
la loro valorizzazione economica; lo sviluppo urbanistico basato sul “risparmio
di suolo”, la bonifica delle aree dismesse.
Turismo e
cultura: una città smart promuove la propria
immagine turistica; virtualizza il proprio patrimonio culturale e le proprie
tradizioni e le restituisce in rete come “bene comune” per i propri cittadini e
i propri visitatori; usa tecniche avanzate per creare percorsi e “mappature”
tematiche della città.
Economia della
conoscenza e della tolleranza: una città smart è un
luogo di apprendimento continuo che promuove percorsi formativi profilati sulle
necessità di ciascuno; dà spazio alla libera conoscenza e privilegia tutte le
forme in cui il sapere è libero e diffuso.
Trasformazioni
urbane per la qualità della vita: una città smart ha
una visione strategica del proprio sviluppo e sa definire in base a questa
scelte e linee di azione; nel suo sviluppo fisico crea le condizioni per
promuovere la coesione e l’inclusione sociale ed elimina le barriere che ne impediscono
la sua completa accessibilità per tutti i cittadini.
Leggere Testaccio, prendere questo rione come
modello (mi si perdoni la citazione personale, ma la modellizzazione è quello
che sto facendo io con la categoria della gentrification) attraverso la griglia
delle caratteristiche delle Smart Cities potrebbe costituire una piattaforma su
cui lavorare e fare delle proposte. Per quanto riguarda i percorsi della
memoria a Testaccio, studio, analizzo, ntervisto, fotografo, scrivo e pubblico
su questo territorio dai primi anni Novanta.
C’è sempre qualcosa di nuovo da imparare dalle
memorie del territorio, perché come scriveva Paul Ricoeur “il territorio è un
libro parlante”. Grazie a tutti per l’attenzione e che questo sia solo l’inizio
di una futura collaborazione.
Irene Ranaldi
1) G. Gilder,
The Silicon Eye: Microchip Swashbucklers and the Future of High-Tech
Innovation, 1996.
2) F. Tönnies,
Gemeinschaft und Gesellschaft, Lipsia, 1887, trad. it. Comunità e società,
Laterza, Bari. 2011.3) F. Ferrarotti, La sociologia come partecipazione e altri saggi,Taylor, Torino, 1961.
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