sabato 23 febbraio 2013

Riflessioni sparse su “Smart Testaccio”

Sono contenta di avere l’età per non essere una nativa digitale. Perché ho un rapporto con le tecnologie puramente utilitaristico. Ho il mio bravo Ipad per un tributo ad Apple, e ho il mio bravo blackberry per un tributo ad Android. Ma ho conservato le mie capacità umane, e non le ho abdicate completamente ad un supporto informatico.

Con l’urgenza che molti hanno di dover dire sempre e comunque cosa pensano al mondo (Facebook e la sua antipatica domanda: cosa stai pensando?) e di dire a tutti dove si è e cosa si sta facendo – di geolocalizzarci – si sta perdendo la capacità non solo di osservare ma anche di immaginare.

L’attributo smart ormai si accompagna a molte cose. Così come il concetto di accessibilità oggi sembra immediatamente far pensare all’accessibilità della connessione web.

Stiamo bene in guardia. Le nostre città, la nostra città (Roma) e il rione Testaccio sono tutt’altro che smart e accessibili e qui per accessibilità intendo la possibilità di accesso ai luoghi di ritrovo, ai marciapiedi,ai parchi da parte delle persone con disabilità o semplicemente con un passeggino con dentro dei bambini. Sto parlando semplicemente di diritto all’accesso. Anche l’accesso a internet, quindi alla conoscenza, è un diritto. Ma non dimentichiamoci di tutto il resto.

Qui non si tratta di essere apocalittici o integrati ma di buon senso.

Parlando di Testaccio, quello che con una urban experience sarebbe utile fare sarebbe immaginare questi luoghi come erano cento anni fa, quando cioè – letteralmente – non c’erano. Testaccio è stato l’ultimo quartiere all’interno del centro storico di Roma dopo l’unità d’Italia del 1870 ad essere costruito ex novo perché era l’unica area libera e soprattutto dotata di caratteristiche oro geografiche per accogliere la nascente classe operaia.

Gli spazi dove vivremo, e dove si sta già vivendo in metropoli diverse dalle nostre, saranno più sociali più verdi più connessi, più intelligenti.

Sono passati poco 18 anni da quando il futurologo newyorkese George Gilder 1 scrisse: “Le città sono un avanzo lascatoci dall’era industriale”. Era il 1995 e, analizzando le potenzialità di Internet, Gilder pensava che la Rete avrebbe annullato le distanze rendendo obsolete le città. Per diversi urbanisti, nel giro di pochi anni le città sarebbero scomparse. Con la diffusione delle grandi infrastrutture della comunicazione alla fine dello scorso secolo sempre più voci prevedevano la fine

delle città a favore di modalità di vita delocalizzate e interconnesse.

Le stesse previsioni si sono avute con la nascita di Amazon – prima grande biblioteca virtuale – e la scomparsa del libro. Tornando alla città, si sta semmai verificando l’opposto. La comunità urbana non è scomparsa ma si è replicata nel suo doppio virtuale, attraversato con le stesse dinamiche di quello reale. A Roma non c’è rione o quartiere che non abbia almeno un gruppo numericamente ben frequentato sui social network, dove si caricano foto e video, ma dove soprattutto, cittadini impegnati nella società civile denunciano e dialogano tra loro sugli aspetti della vita di quartiere da migliorare. La teorizzazione classica del concetto di comunità urbana si deve al sociologo tedesco Ferdinand Tönnies che costruisce idealmente i due concetti di comunità e società ai quali fanno riferimento modalità diverse di relazioni sociali.

Parentela,vicinato e amicizia sono tre tipi di comunità (di sangue di luogo e di spirito) interdipendenti tra loro, a cui corrispondono anche altrettanti tipi di autorità o dignità. Il rispetto dell’autorità e della volontà comunitaria, aiuta a mantenere in equilibrio i rapporti di tipo comunitario. La comprensione reciproca, nasce secondo Tönnies su un modo di sentire comune e reciproco che si può esprimere al meglio in condizioni di vicinanza «...il vicinato è il carattere generale della convivenza del villaggio, dove la vicinanza delle abitazioni, il terreno comune o anche la semplice delimitazione dei campi danno luogo a numerosi contatti umani, alla assuefazione reciproca e ad una conoscenza intima essenzialmente condizionata dalla coabitazione. Questa forma di comunità può però anche mantenersi nella separazione, seppure più difficilmente della prima forma e deve allora tanto maggiormente cercare il suo sostegno in determinate abitudini di riunioni e in usanze rituali sacre».2

Nella metropoli moderna, la volontà comunitaria persiste ma in maniera residuale; la città capitalistica che intende Tönnies, è un’area nella quale i rapporti tra i singoli, e quindi anche i rapporti di vicinato, sono destinati ad indebolirsi progressivamente. Secondo la lettura critica di Franco Ferrarotti ‟...non solo comunità e società non vanno dialetticamente contrapposte, ma è invece da considerare il grave pericolo involutivo in cui versa una società, la cui base comunitaria vale a dire il cui tessuto connettivo delle cellule centrali e periferiche, non risulti vitale, capace di costante rigenerazione molecolare e di rinnovamento.” 3

La rigenerazione costante deve essere la linfa dei territori. I grandi agglomerati urbani stanno crescendo continuamente: una porzione sempre maggiore della popolazione si sta spostando nelle grandi città del pianeta. Negli ultimi quindici anni le città hanno conosciuto un boom senza precedenti, la Cina, da sola, ha in programma di costruire più città di quante siano mai state costruite dall’uomo in tutta la sua storia e si sta deviando il corso dei fiumi, con ripercussioni disastrose sulle popolazioni. Come è noto, poi, per la prima volta, la popolazione urbana del pianeta ha superato quella rurale.

Per sopravvivere a tutto questo, dovremmo riconoscere la forza e rispettare i limiti della natura sulla vita umana, rendere le metropoli ospitali e vivibili (fermando anche l’espansione incontrollata sui nostri suoli), rigenerare le risorse (sviluppare le energie rinnovabili, attivare produzioni che risparmiano risorse), valorizzare e sviluppare le aree rurali (promuovendo l’imprenditoria giovanile, ripopolando le terre incolte come si sta facendo con gli orti urbani, più di 100 ormai a Roma, ecc).

La rete in conclusione non ha svuotato di senso le città, anzi. Le tecnologie digitali hanno invaso le strade e quartieri arricchendoli di nuovi servizi e creando un nuovo modo di vivere i centri abitati (e qui i walk show possono avere un ruolo).

In futuro potrebbe delinearsi una nuova realtà urbana, le smart cities, ovvero la proposta della possibilità di una migliore qualità e accessibilità della vita in spazi urbani che ci aiutino a realizzare i nostri progetti di vita e di lavoro. Una città smart è uno spazio urbano, ben diretto da una politica che sappia amministrare per il bene comune, con un’attenzione alla coesione sociale, alla diffusione e disponibilità della conoscenza, alla creatività, alla libertà e mobilità effettivamente fruibile, alla qualità dell’ambiente naturale e culturale.

In particolare le smart cities sono costituite attorno alle Information and Communications Technology dove le reti digitali possano essere considerate a tutti gli effetti una nuova categoria di opere pubbliche. Secondo alcuni le interazioni sociali saranno in un prossimo futuro fortemente condizionate dallo sviluppo delle innovazioni ICT; nuovi modelli comportamentali si stanno già cominciando a delineare e nuove applicazioni informatiche saranno sviluppate per rendere sempre più agevoli tali interazioni (pensiamo alle applicazioni come foursquare, un'applicazione mobile e web che permette agli utenti registrati di condividere la propria posizione con i propri contatti.

Al suo lancio nel 2009 Foursquare era disponibile in maniera limitata in sole 100 aree metropolitane in tutto il mondo. Nel 2010 è stata lanciata la versione 2.0 che aiuta gli utenti a scoprire nuovi luoghi e attività oltre a condividere la propria posizione come già avveniva nelle versioni precedenti ed è stato aggiunto un tasto per aggiungere più facilmente un luogo alla lista delle cose da fare. A partire da questa versione l'applicazione ricorda inoltre all'utente le cose da fare che si trovano nelle sue immediate vicinanze.

Applicazioni come quelle di The New York Times, Wall Street Journal e Zagat hanno aggiunto il tasto "Add to my Foursquare" che permette di aggiungere determinati luoghi alla propria lista di cose da fare. Questi aspetti vanno ad impattare sul modo di percepire e vivere un quartiere. Dai teorici delle smart cities sono stati individuati gli attributi fondamentali che dovrebbero avere tali tipi di contesti urbani:

Mobilità: una città smart è una città in cui gli spostamenti sono agevoli, che garantisce una buona disponibilità di trasporto pubblico innovativo e sostenibile, una città smart adotta soluzioni avanzate di mobility management e di infomobilità. Roma non ha quasi nulla di tutto questo…

Ambiente: una città smart promuove uno sviluppo sostenibile che ha come paradigmi la riduzione dell’ammontare dei rifiuti, la differenziazione della loro raccolta, la loro valorizzazione economica; lo sviluppo urbanistico basato sul “risparmio di suolo”, la bonifica delle aree dismesse.

Turismo e cultura: una città smart promuove la propria immagine turistica; virtualizza il proprio patrimonio culturale e le proprie tradizioni e le restituisce in rete come “bene comune” per i propri cittadini e i propri visitatori; usa tecniche avanzate per creare percorsi e “mappature” tematiche della città.

Economia della conoscenza e della tolleranza: una città smart è un luogo di apprendimento continuo che promuove percorsi formativi profilati sulle necessità di ciascuno; dà spazio alla libera conoscenza e privilegia tutte le forme in cui il sapere è libero e diffuso.

Trasformazioni urbane per la qualità della vita: una città smart ha una visione strategica del proprio sviluppo e sa definire in base a questa scelte e linee di azione; nel suo sviluppo fisico crea le condizioni per promuovere la coesione e l’inclusione sociale ed elimina le barriere che ne impediscono la sua completa accessibilità per tutti i cittadini.

Leggere Testaccio, prendere questo rione come modello (mi si perdoni la citazione personale, ma la modellizzazione è quello che sto facendo io con la categoria della gentrification) attraverso la griglia delle caratteristiche delle Smart Cities potrebbe costituire una piattaforma su cui lavorare e fare delle proposte. Per quanto riguarda i percorsi della memoria a Testaccio, studio, analizzo, ntervisto, fotografo, scrivo e pubblico su questo territorio dai primi anni Novanta.

C’è sempre qualcosa di nuovo da imparare dalle memorie del territorio, perché come scriveva Paul Ricoeur “il territorio è un libro parlante”. Grazie a tutti per l’attenzione e che questo sia solo l’inizio di una futura collaborazione.

Irene Ranaldi

1) G. Gilder, The Silicon Eye: Microchip Swashbucklers and the Future of High-Tech Innovation, 1996.
2) F. Tönnies, Gemeinschaft und Gesellschaft, Lipsia, 1887, trad. it. Comunità e società, Laterza, Bari. 2011.
3) F. Ferrarotti, La sociologia come partecipazione e altri saggi,Taylor, Torino, 1961.

 

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