Mercoledì 16 aprile alle ore 18.00 nella sala del ristorante Stazione di Posta nella Città dell'Altra Economia, all'interno dell'ex-Mattatoio, abbiamo brindato per la presentazione del progetto "Testaccio con Gusto".
L’iniziativa, promossa da Piattaforma Testaccio, è stata organizzata dall'Associazione Picus e offre l'occasione per riscoprire gusti e sapori della vecchia Roma a Testaccio con visite guidate in alcuni siti archeologici del Rione.
“Testaccio con gusto” infatti è un tour storico archeologico ed enogastronomico alla scoperta del Rione Testaccio e delle tradizioni romane.
Le radici storiche del quartiere risalgono all’età romana, ma la matrice culturale del Rione è profondamente legata alla nascita e al ruolo svolto dal Mattatoio fino agli anni ’70. Per questo il tour si muove su due filoni: l’aspetto storico-artistico-archeologico e quello della cucina tradizionale, all’insegna del “Quinto Quarto”.
Perché un tour storico-archeologico e enogastronomico proprio a Testaccio? Perché la natura di un territorio è costituita tanto dalla sua storia, quanto dalle tradizioni che rimangono impresse nelle menti come sui muri e sulle pietre. Perché non solo i monumenti fanno cultura.
I cittadini del Rione inoltre chiedono da tempo il recupero di spazi che ormai sono diventati isole inaccessibili per gli abitanti (come ad esempio il Monte dei Cocci), così come è forte la necessità di ricucire il rapporto tra Testaccio e le realtà che ora abitano il Mattatoio, spesso sentite come “lontane” dalla cittadinanza e a loro volta poco integrate fra loro.
La realizzazione di un percorso di visita, strutturato, organico e svolto da personale qualificato e certificato, contribuisce certamente alla valorizzazione del Rione e allo sviluppo economico delle attività che su di esso insistono, senza scadere nella “svendita” dell’anima di un quartiere, ma nel rispetto delle persone e degli spazi. Lo scopo è quello di creare cultura e sensibilità tanto verso le testimonianze storiche, quanto nella conoscenza e nella difesa dei cibi tradizionali, rendendo il Rione “complice” di questa esperienza e lavorando nel suo interesse. Infatti, in una prospettiva più ampia, tale progetto può contribuire a rispondere alle esigenze di partecipazione e riconquista del territorio da parte della cittadinanza. Può contribuire a restituire luoghi che sono stati centrali nella storia del Rione e soprattutto renderli nuovamente vissuti avvicinando strade, piazze, palazzi e cittadini.
Il tour si
svolgerà con l’accompagnamento di archeologi professionisti e guide accreditate
della provincia di Roma.
L’idea è di
procedere alla scoperta delle testimonianze archeologiche rintracciabili nel
tessuto del quartiere attraverso la narrazione della sua storia fatta di strade
e cortili, ma anche della scoperta dei resti della Porticus Aemilia, del Porto
romano e del Monte dei Cocci.Il tour è disegnato per esaurirsi in circa tre ore che si sviluppano con visita guidata ai siti di seguito indicati seguiti da una esperienza enogastronomica basata sulla cucina del quinto quarto, nel riguardo che è dovuto alla tradizione culinaria del Rione.
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Il tour avrà inizio con la visita del cimitero
acattolico seguendo le suggestioni del Grand Tour e della Roma settecentesca e
si potrà così ammirare anche la Piramide Cestia in un contesto di eccezionale
gradevolezza rispetto al più noto lato di Piazzale Ostiense deturpato dal
traffico. La scelta di questa prima tappa è legata anche alla coincidenza del
sito con un parcheggio dedicato ai pullman turistici, permettendo così di non
gravare sulla mobilità del quartiere.
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La seconda tappa prevede la visita del Monte dei
Cocci letteralmente “calpestando” un monumento archeologico unico al mondo. La
salita del monte consente inoltre di poter ammirare il quartiere e Roma da un
punto di vista inusuale rispetto a qualunque altra visita della città.
L’inserimento del Monte in un circuito di visite strutturate costituisce
inoltre un primo passo strategico nella restituzione alla cittadinanza di un
pezzo di città che non è solo una testimonianza archeologica, ma uno spazio verde
e pubblico che la comunità reclama, anche come simbolo identitario del Rione.
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Le nostre guide esperte faranno conoscere anche
la storia e le origini del quartiere operaio. Passeggiando sarà possibile
visitare il mercato rionale, ammirare l’architettura delle case popolari e
l’eccezionale esempio del Mattatoio, capolavoro di archeologia industriale.
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Non cureremo solo il cibo della mente! La visita
si concluderà infatti con la degustazione di piatti e vini della tradizione
culinaria romana. Grazie all’accordo che cercheremo di definire con la Città
dell’Altra Economia si proporranno una serie di piatti all’insegna del “quinto
quarto”, avendo l’occasione di consumare un pranzo tipico direttamente
all’interno del Mattatoio.
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La visita si svolgerà con l’ausilio di
auricolari. Il che permetterà ai componenti del gruppo di muoversi più
liberamente e sarà possibile nel percorso ascoltare brani musicali o contributi
audio per far rivivere le suggestioni dei luoghi, i personaggi e le parole che
li hanno resi celebri.
La
degustazione si baserà sulla proposizione della cucina basata sull’uso del quinto
quarto.
Fino alla
metà degli anni settanta, Testaccio era l’unico Rione nel quale si poteva
gustare, in un unicum di proposta culinaria la cucina delle interiora provenienti
dal Mattatoio, meglio conosciuto come l’”Ammazzatora”. Il quinto quarto è
quello che rimane della bestia quando sono state vendute le parti pregiate, è
quindi la parte che spetta alle classi popolari, quella che si poteva mangiare
nelle trattorie e nelle osterie del Rione. Si tratta della pajata, trippa,
coda, rognoni, animelle, cuore e tutte
le parti delle interiora che, insieme a verdure ed ortaggi (carciofi, cicoria,
puntarelle, broccoli, peperoni), costituiscono i piatti tipici romani.
Gusteremo
questa proposta fermandoci proprio all’ammazzatora nel Campo boario dove ora
sorge la Città dell’Altra Economia. La Città dell’Altra Economia è uno dei
primi spazi in Europa dedicato alle pratiche di basso impatto ambientale, equa
distribuzione del valore, difesa del cibo genuino e biologico. Nasce come luogo
di promozione dell’altra economia romana, intesa anche come difesa delle
tradizioni culinarie a dispetto della mercificazione e della standardizzazione
delle proposte commerciali in circolazione. Un ristorante e un bar propongono
cibi e bevande realizzati con prodotti locali e provenienti da agricoltura
biologica.
Il menu
potrà essere proposto come pasti completo: servito come assaggio rinforzato,
sarà così strutturato:
• Antipasto: fritto misto alla
romana.
• Primo piatto: rigatoni con pajata.
• Secondo piatto: trippa alla romana.
• Dolce: ciambellone.
• Vino dei castelli romani e pane
casareccio di Genzano.
ovvero come
buffet da strutturare, che mantenga il
richiamo al quinto quarto.
LA PAJATA
SARA’, PURTROPPO, DI AGNELLO
Un qualche
giorno degli inizi del 2001, a seguito del manifestarsi di alcuni casi di
encefalopatia spongiforme bovina (BSE), a noi tutti nota come morbo della mucca
pazza, l’Unione Europea vieta la commercializzazione della pajata, cervelletto,
animelle ecc. E’ la fine di un importante protagonista del quinto quarto. In
Francia, Germania, Spagna e per un caso anche in Italia si registrano evidenze
del morbo.
La pajata è
la parte dell’intestino tenue dopo il colon, che si preleva esclusivamente dal
vitello da latte in ragione di circa 2 kg per animale. Ha fatto felice il
palato dei romani ed in particolare dei Testaccini. Da sempre. E’ stato un
riferimento, un caposaldo culturale un fenomeno identitario ed un piatto
fenomenale. Nella sua preparazione eccelleva Testaccio, per ovvie ragioni
storiche e, nel Rione, “primus inter pares”, si stagliava il “vecchio” Felice.
Certo con la
salute non si scherza e non c’è richiamo alla tradizione che possa essere opposto
alla integrità della persona.
Un dubbio
però ci viene. Non è che per semplificare le cose si butta via il bambino con
l’acqua sporca? Siamo veramente sicuri che, con adeguati accorgimenti in corso
di macellazione, con test rapidi e quanto altro oggi a disposizione non sia
possibile individuare una soluzione diversa. Come per il “lardo di Colonnata” o
per il “formaggio di fossa”. Ci sono realtà locali che si sono mosse nella difesa convinta di alcuni prodotti tipici, poi attestati con certificazioni di origine le più varie. Forse la pajata non è degna di tanto, in quanto legata espressamente ad una realtà locale che non ha esteso la sua influenza, almeno per questo prodotto, all’esterno della sua area storica di consumo, ma certo la cosa non ci convince. Se la BSE è ormai arginata, se per tutti i capi macellati sopra i 30 mesi sono obbligatori, dal primo gennaio 2001, test rapidi anti BSE qual’ è la ragione che ancora proibisce l’uso della nostra cara pajata.
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